Il Mondo di Adriano

UH... UH...

Prefazione di Marco Paolini

Raramente ho messo monete in un juke-box, non per tirchieria (credo), ma perché non ero sicuro nella scelta. Mi pareva terribile sbagliare canzone e farlo sapere a tutti. Quelle degli altri mi piacevano quasi sempre, pareva brutto copiare e rimettere le stesse, ma peggio ancora sarebbe stato far venir fuori una canzone che non c’entrava niente, che avrebbe rovinato tutto.

Peggio di tutto erano quelle con il titolo in inglese: i nomi dei gruppi, dei cantanti, li sapevo (più o meno), i titoli delle canzoni (a parte poche) no, per niente.
Non sapevo l’inglese e quindi le parole scritte sulle etichette e quelle poche che si capivano nei testi non mi dicevano niente di utile da tenere a mente. In mente restava la musica, ma anche la paura di sbagliare.
Così le monete le tenevo da parte per quando arrivavano le giostre. Ogni corsa aveva la colonna sonora compresa. Per salire sull’autoscontro aspettavo sempre la canzone giusta, così era come se l’avessi scelta io.
Le giostre non sono sempre uguali, a volte sono vuote, poi si riempiono di colpo, accelerano e tutto decolla: ci sono ragazze da inseguire sull’autoscontro, sputnik da abbattere in quantità industriale, code da prendere con il calcio in culo che diventano più vicine, più basse. Tre minuti così valgono il doppio.
Amministravo 500 lire di gettoni (ne venivano 11 mi pare) in modo da prendere più decolli possibili, inutile spararli tutti di seguito.
Il bello era girovagare sapendo di averne ancora qualcuno in tasca.
Il bello era far durare quel momento. Il centro di tutto per me era l’autoscontro: lui viveva lì.
Ogni tanto Celentano usciva dal pullman e scendeva nella pista di ferro, camminava come sapeva fare lui, lo sguardo di chi lavora mentre gli altri si divertono, ma in quegli occhi c’era altro: il selvatico allergico alle case di cemento col riscaldamento, lo zingaro che sfotteva gli stanziali, c’era il gallo nel suo pollaio personale, il Tarzan che con sprezzo del pericolo mortale attraversava la giungla tra gli autoscontri. Aveva pantaloni stretti, gambe fine fine e scarpe nere sempre lucide.
Finché il traffico lo consentiva attraversava la pista in linea retta, con piccoli cambi di ritmo (mai accelerando però), puntava dritto verso un angolo occupato da una macchinetta abbandonata fuori
posto e la recuperava.
Camminando senza mai voltare la testa sentiva arrivare il traffico, capiva al volo se quello che lo puntava era spaccone ma capace di schivarlo o se era un imbranato in grado di far danni senza
volerlo. Se uno esagerava o insisteva troppo lo guardava un po’ di traverso e di solito bastava. Non l’ho mai visto andare oltre, ma di lui dicevano che ne avesse buttati fuori più di uno dalle giostre con l’avviso di non tornare più.
Se c’era troppo traffico attaccandosi ai trolley passava da una macchina all’altra ed erano scintille sulla rete elettrica.
Se poteva, sceglieva le macchine delle ragazze per i passaggi più lunghi, se no era lo stesso. È capitato a me di essere prescelto. Te lo trovavi dietro, sopra, su… era un onore averlo a bordo, sentivi addosso gli occhi di tutti quelli intorno e una responsabilità di guida da adulto.
Poi Celentano saltava sulla macchinetta da recuperare e infilava la chiave nella fessura. Di chiavi così ne avevano anche gli altri addetti, ma la sua aveva un omino Michelin sull’impugnatura, di quelli in gomma che rimbalzano e se cadono non si fanno niente.
Se non aveva voglia, correva solo un mezzo giro, poi portava la macchina in parcheggio con una sola mossa. A volte ripeteva il gesto per altre macchine, finché per lui bastava. La chiavetta andava in tasca e lui tornava a chiudersi nel pullman.
A volte invece la macchina non correva subito verso il parcheggio, faceva un giro o due senza mai andare addosso a nessuno, seguiva una sua musica, con cambi di direzione, di ritmo impossibili da prevedere. Allora praticamente l’autoscontro ballava, tutti era costretti a cambiare giro per dargli strada, si formavano gruppi di inseguitori che provavano a stargli dietro, altri che si aprivano per non tagliargli il passo. Poi suonava la tromba e si sentiva il clac clac dei gettoni scaduti. E si faceva il cambio, la pista si riempiva, la giostra decollava e nessuno voleva rimanere a terra.

Celentano aveva una macchina preferita, la 74 color rosa. Ce n’erano due di rosa, la 8 e la 74, l’unico autoscontro in Italia con due macchine così era il suo. I maschi all’epoca preferivano aspettare un giro piuttosto di farsi vedere su una macchinetta rosa.
La usavano le femmine e lui soltanto. Si capiva che questa cosa era stupida, ma nessuno di noi maschi avrebbe osato la 8 o la 74 rosa, c’era da sputtanarsi per un anno almeno, ma era del tutto normale che lo facesse lui.
Quando girava sulla 74 era ancora meglio, la usava come un rimorchiatore, riusciva a radunare le macchine vuote come il pastore Serafino con le pecore, poi faceva giri interi all’indietro come nel valzer e tutto girava, e tutti facevano a gara a esagerare. Allora se occorreva tirava dei colpi perfidi ai più esaltati che finivano con un sormonto di gomme che bloccava i mezzi.
A volte li teneva così fino a un secondo prima della tromba alla berlina delle risate di tutto il pubblico. Di solito bastava.
Certi pomeriggi o certe sere non usciva mai dal pullman, oppure succedeva quando ero già tornato a casa dalle giostre e allora il giorno dopo mi toccava il racconto di cosa aveva fatto e mi rodeva che non l’avevo visto.
Certi giorni la 74 restava ferma mentre dal pullman con la musica usciva la sua voce. Era emozionante ascoltarlo cantare e sapere che lui era li.Poi lo hanno beccato in un appartamento (e lui non ne aveva uno suo) e siccome non era la prima volta per un po’ di anni non è più venuto.
Pare che in carcere non fosse più l’unico, ce n’erano almeno altri due di Celentani uguali, anche meglio, e quindi con l’originale eravamo a quattro. E sono sicuro che in giro ce n’erano anche di più, magari in altri ambienti che non frequentavo.
Di sosia di Elvis, da ragazzo non ne ho conosciuti manco uno, forse ce n’erano ma per me non hanno contato. Lui sì, anche se non so quanto ha contato, sicuramente molto più di Elvis.
Certe canzoni sono da juke-box, certe da suonare con la chitarra al fuoco, certe sono per ballare in garage al buio. Lui per me sono le giostre. Ci può essere il rumore di fondo che vuoi, ma la sua voce lo bucherà, come la gramigna buca il cemento dei marciapiedi.

Volume 11
Edizione Speciale Corriere della Sera in collaborazione con Clan Celentano
Direzione Editoriale
Claudia Mori e Luisa Sacchi
Categoria
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