1975
La bomba visionaria scoppiò il 7 marzo 1975. E il 17 marzo arrivò nei negozi di dischi anche la colonna sonora che moltiplicò lo shock. Dieci anni dopo l’esordio nella regia con il film criminal-demenziale in bianco e nero, Super rapina a Milano, Adriano Celentano sorprese tutti fuggendo da una Milano piena di zombies e cemento per rifugiarsi in una Venezia lagunare ma già aggredita dai veleni petrolchimici. Che ne direste di cambiare l’intero paesaggio umano come programma minimo? Troppo rivoluzionario? E Adriano realizzò Yuppy Du, il portuale Felice, sposato con una figlia che ritrova la prima moglie creduta morta, e perde tutto, le due moglie e la figlia…. E’ un musical “a parte”, il primo dei suoi graffiti da combattimento a colori, dei suoi affreschi mobili dei corpo a corpo tra il suo “palazzo della mente” e il Palazzo.Un film girato non senza problemi di guida “rock” delle barche, e la carne lacerata – Adriano e le sue mani insanguinate – squarcerà più volte la superficie euforica dello schermo danzante. Ma il “cavallo del cow boy lagunare”, cioè la gondola, è molto più difficile da maneggiare che nel West. Lì è mezzo di esodo, fuga, diserzione, qui di collegamento e di socialità, come si è visto nella recente lotta alle navi super mostri che invadono la laguna. Per domarlo, il pupparin, la gondola sbilenca di Felice, ci vuole astuzia, molta fortuna e un asso nella manica. E, già dalla prima scena del film, vedremo Celentano, virtuoso del gesto e del micro-movimento esatto, personaggio emozionalmente sempre corretto, scontrarsi con un mondo metropolitano che non ne vuole sapere nulla di logica, buon senso, etica e trasparenza. L’immaginazione al potere era tutto questo, gridato nelle strade, nelle scuole, nelle fabbriche e… nei cinema. Un detour. Un cambio di senso di marcia. Senza immaginazione spinta ai limiti estremi non c’è Adriano-pensiero-immagine. La prima sequenza di Yuppi Du sembra proprio un trattato di “rematologia descrittiva” secondo la Patafisica, la scienza che è prossima al non-sense. “Opera dell’assurdo”, rischiosa, unica e di ambizione culturale internazionale. Nel film ci sono echi dei situazionisti e della loro guerra totale all’urbanistica contemporanea, e giochi surrealisti a partire dal bunueliano campo lungo nella chiesa, nel minuetto-battaglia tra ricchi e poveri.
Un prototipo in Eastmancolor, inimitabile e incredibilmente strano, girato nella trasognata laguna veneziana e tra le calli, con una delle grandi star del momento, Charlotte Rampling, in forma smagliante, canzoni e balletti mai ornamentali, scene cromatismi e costumi che swingano da Arcimboldo a Dalì. E una Claudia Mori che duetta con il corpo androgino e lo guardo letale di Rampling irradiando sensualità e una recitazione in perfetta sincronia con il gesto dada di Adriano.
Una superproduzione misteriosa e affascinante che Celentano scrive, interpreta, dirige e monta con cronometrica libertà, senza mai utilizzare le regole del genere musical, e che, in concorso a Cannes, conquistò la critica mondiale anche per l’anarchia architettonica e la coreografica delle sequenze, per i dialoghi dai sillogismi inconcludenti e indeterminati, dunque prossimi alla verità, e per l’ambientazione e il clima “senza tempo”.
Capolavoro contemporaneo, Yuppi Du, restaurato, ritoccato e ripresentato alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia è stato inserito dal guru della giovane critica europea, il tedesco Olaf Moeller, tra i dieci migliori film del 2008 nell’annuale classifica dell’autorevole rivista Sight and Sound e accostato per il suo “magico realismo” ai viaggi impossibili di Kurt Vonnegut, satira politica e humour nero, Lewis Carroll, jazzista della parola, e Hunter S. Thompson, re degli artifici narrativi.
In Italia, il film colpisce la critica per i virtuosismi coreografici, viene evocato Vincente Minnelli, regista di Gigi, perché i numeri musicali e di danza fluiscono spontaneamente dall’azione con un effetto trance. E ancora per i virtuosismi visuali, il lavoro superbo del direttore della fotografia Alfio Contin, e paesaggistici.
Oggi si rivela la stupefacente pre-visione di Yuppi Du nel continuo oscillare tra tempo sospeso della performance musicale – i balletti che accendono palchi, quinte, siparietti quasi “goldoniani” – e tempo vivo, “cinema”, immagazzinamento di dati storico-politici-iconografici simultanei: lo sciopero, la catastrofe ecologica, la chiesa come si è evoluta nel tempo, da strumento di difesa dei poveri a salotto bene delle classi dominanti… Un gioco che rende potente e mobile, cioè piena di senso, l’immagine. Adriano concentra nella stilizzazione massima della forma, ogni inquadratura ha un suo movimento interno sorprendente, nella bizzarria eclettica dei costumi, tra il primitivo e lo stile d’atelier futurista, tutti i suoi “amori”. Le “facce di calcestruzzo”, la Milano ingrigita dai veleni tossici, l’amara immoralità della vendita di carne umana, la bambina (Rosita, figlia di Claudia e Adriano) ceduta un tanto al chilo, lo sfruttamento operaio e gli “omicidi bianchi”. Sequenza dalla geometria hitchcockiana con la cassa sospesa sulla testa del portuale, la gru oscillante, e la Morte a colloquio con la vittima designata…
I tesori coniati in Yuppi Du torneranno ad “arredare” gli show televisivi, il cinema e gli spettacoli live di Adriano in una metamorfosi continua. La sua voce accende il campo di comunicazione tra “griot” e pubblico attivo e non sulla base di uno stupore tecnologico, ma di un viaggio critico nel tempo-spazio. Adriano rilancia nel futuro antiche cose dimenticate che riplasmano il mondo. Ed ecco qui la piazza multietnica solare e scoppiettante, sapori da Quattro passi tra le nuvole e da fiaba medievale. Il sipario si apre sulle emozioni perdute e ritrovate dell’artista resistente al cinismo dei tempi.