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Dic 30 2011 Maurizio Cattelan e Adriano Celentano
28 novembre 2011
Ciao Adriano,
immagino vada bene se ti chiamo Adriano? Spero di non metterti a
disagio, ma come ti puoi immaginare è un po’ strano per me rivolgermi
così direttamente a qualcuno che fino ad oggi ho avuto l’opportunità
di conoscere solo attraverso una radio a transistor o un televisore
durante la mia dolescenza provinciale.
A dir la verità non è vero, a volte mi è capitato anche di avere
tue notizie attraverso la stampa, ma sai come funziona in questi casi,
è difficile fidarsi se non ci si trova davanti la persona in
questione, soprattutto in un caso come il tuo. Per esempio non troppo
tempo fa leggevo di un bar in Via Gluck dove
lamentano la tua assenza da anni. Ma sarà vero? Non ti piace più il
caffè da quelle parti? Oppure ci vai ancora di nascosto? Io ci sono
passato una volta molti anni fa, quando mi ero trasferito da poco a
Milano. Non ti nascondo che mi ha fatto un certo effetto trovarmi
davanti ad una prova così tangibile della tua esistenza. A volte mi
domando se questa tendenza a rivendicare le origini di un personaggio
sia un fenomeno esclusivamente italiano. Non mi pare che nessuno abbia
mai reclamato un ritorno di Elvis Presley a Tupelo o di Little Richard
in Georgia. O di Little Tony a San Marino, per restare in un paese
più vicino al nostro.
A proposito, ci sono dei colleghi musicisti che frequenti più di
altri? O davvero adesso esci di rado e parli ancora meno? Da parte mia
ho sempre ammirato la tua abilità nel navigare gli argomenti
alternando esternazioni a lunghi momenti di silenzio. Diffido di chi
si sottrae del tutto come di chi ha sempre qualcosa da dire. Un’altra
cosa che ammiro sinceramente è la tua capacità di sorprendere
sempre. È davvero rischioso darti per scontato, ed è una qualità
rara che diventa ancora più rara se preservata nel tempo. Uno dei
miei ricordi più forti legato a te è legato al tuo appello di
spegnere il televisore. E infatti ancora oggi non ne possiedo uno.
M—
18 dicembre 2011
Ciao Maurizio,
È un condizione essenziale che tu mia del “tu”.Io mi chiamo Adriano.
Non Signor Adriano.
Darmi del “Lei” è come non voler avere nulla a che fare con me.
Mi sentirei un estraneo, mentre per mia natura, è istintivo e vitale entrare subito in comunicazione con il prossimo.
Qualsiasi prossimo.
Figurati con te.
Infatti io soffro quando qualcuno per troppo rispetto, mi da per un attimo del lei; io in quel momento mi sento solo.
Amo molto la tua arte nella quale ritrovo una certa follia, dove anche io mi riconosco, che spiega più di tutti in che mondo viviamo.
Come ad esempio il famoso “dito” che giustamente è stato collocato davanti alla Borsa di Milano,dove serpeggia il virus dei nostri guai.
Per rispondere alla tua lettera,non saprei se sia tipicamente italiano tentare di ricondurre alle origini i personaggi famosi.
Nel mio caso,le mie origini per me sono alla base di quello che sono.
Sono figlio di emigranti, poveri, onesti e allegri.
Pensa…allegri, nonostante le immani difficoltà nelle quali la mia famiglia foggiana si dibatteva,come quasi tutti in quegli anni difficili.
Su di me si è scritto di tutto .
Ad esempio non è vero che “esco di rado e parlo ancora meno”.
Quando c’è da parlare lo faccio.
Non mi sottraggo, quando penso sia giusto far conoscere il mio parere su un certo argomento:vedi la privatizzazione dell’acqua, Il nucleare: come potevo non impegnarmi su argomenti cosi vitali per tutti.
L’acqua: non si può privatizzare!
Il nucleare : si finge di non sapere del problema delle scorie, quando ancora oggi stiamo morendo soffocati dalla “mondezza” che non sappiamo dove mettere.
Dovremmo fidarci di chi ci governa che improvvisamente saprebbero,come gestire i rifiuti tossici delle centrali nucleari?
Non ci basta quello che già ci sta facendo morire tutti di cancro, a causa dell’inquinamento?
Il mio misero pensiero io voglio che si comprenda. Parlo in modo semplice è vero,comprensibile e a volte questo può spaventare .
Non c’è nulla di più pericoloso che farsi capire.Adriano
—
20 dicembre 2011
Caro Adriano,
Ti ringrazio della risposta e per aver abbattuto la formalità che a
volte rischia di caratterizzare questi scambi a distanza. Per pura
coincidenza ti sto scrivendo da un diner qui a New York e in
sottofondo sta andando la tua canzone ‘Chi non lavora non fa l’amore’.
Deve essere un segno del destino. A proposito, secondo te è ancora
valido come messaggio? Da quello che leggo nei giornali americani a
proposito dell’Italia, oggi sembra che sia vero piuttosto il
contrario.
Anche io come te coltivo una sana diffidenza nei confronti della
classe politica. Quello che dici sulla privatizzazione mi fa
riflettere. Viene spesso presentata come un’opportunità per sfuggire
ai rischi del monopolio, per sgravare il debito pubblico o anche per
snellire un sistema che pare temere la responsabilità diretta come la
malaria, ma sembra davvero che l’Italia abbia deciso di inserirsi nel
discorso globale nel modo peggiore. Ho visto, a tal proposito, che nel
tuo nuovo album ci sarà una nuova versione di Svalutation. Chissà,
oggi forse si potrebbe arricchire di nuove parole. Che ne dici di
Liberalizzation? Privatization? O forse Deregulation?
Ci stiamo avventurando su un terreno insidioso, il che mi spinge a
chiedermi, anche pensando al contesto transoceanico in cui si svolge
la nostra conversazione e a chi ci leggerà: cosa vogliamo dire da
italiani ai tedeschi? Quanto vogliamo rivelare? Questo anche tenendo a
mente che forse di noi sanno già molto. Sicuramente più di quanto noi
sappiamo di loro, no?
MaurizioPS Mi onora sapere che conosci e ti riconosci un po’ in quello che
faccio. Per me il pericolo fino ad oggi è stato essere frainteso.—
29 dicembre 2011
Caro Maurizio,
sei a New York?!
Pensa che io soltanto all’idea di prendere un aereo,già adesso non dormo più!
In teoria sarei un grande viaggiatore.
Curioso,avventuroso,amante di scoprire persone e musica di altre culture,confronti con altri mondi …sarebbe ciò che più amerei fare, ma la paura di essere “sospeso nel cielo” è più forte di tutto.
Mi è rimasta l’avventura…alla Salgari.
Un po’ troppo comoda forse,è vero, perché l’avventura e il fascino iniziano proprio dal viaggio stesso anche se Salgari mi ha affascinato sin da ragazzo.
A proposito di “Chi non lavora non fa l’amore” mi chiedi se è ancora valido come messaggio : lo sarebbe se quando uscì, non fossi stato frainteso.
Come ho avuto modo di dire più volte,il mio intento era di lanciare una provocazione proprio ai datori di lavoro,ai padroni,facendo un parallelo con gli operai che, trovandosi senza lavoro,perdevano anche la serenità e l’amore in seno alle proprie famiglie.
Concludevo infatti con il testo che diceva: “…dammi l’aumento signor padrone e vedrai che anche in casa tua, tornerà l’amore”.
Ma questa canzone fu strumentalizzata,tacciata contro gli scioperi.
Come potrei, io, con la mia storia familiare e personale, essere contro gli scioperi,l’unica arma democratica per far rispettare i diritti delle persone più deboli e per dar loro voce e visibilità.
Forse è proprio il titolo che può avere generato questo equivoco e, se oggi dovessi modificare qualcosa,cambierei soltanto il titolo .
La chiamerei: “Signor padrone dammi l’aumento altrimenti per te saranno guai”.
E’ vero che diffido della classe politica perchè ha creato impunemente i disastri che stanno affondando la vita delle persone .
Negandogli la dignità di un lavoro ,il diritto allo studio uguale per tutti,il diritto di curarsi tutti nello stesso modo.
Ci vorrebbero politici illuminati,onesti,disinteressati…ma non ne vedo in giro.
Forse i politici dovrebbero essere affiancati da filosofi e poeti per sperare di recuperare la cultura dell’onestà e della sapienza.
Per tentare di ricostruire un mondo serio ,illuminato.
Utopia?
Forse, ma non bisogna abbandonare la speranza di riuscirci.Ho sempre pensato che, contrariamente al senso della parola,sarà proprio l’ ”utopia” a cambiare il mondo.Perchè non provarci?
Mi chiedi poi,cosa direi ad un tedesco di noi italiani…
…gli direi, che siamo gente semplice. Per bene.
Con una gioventù che cerca con onestà e dignità la propria strada, in mezzo a mille difficoltà inaspettate e ingiuste.
Riguardo a “Svalutation”,non c’è nel mio nuovo album appena uscito.
Forse hai saputo una cosa un po’ diversa; avrai sentito parlare di una canzone da me composta, parole e musica,presente in questo album,che la stampa ha dichiarato essere il “mondo in mi 7°” del terzo millenio.
Vuoi sapere il titolo?
“IL MUTUO”.
Adriano—
29 dicembre 2011
Caro Adriano,
Ti chiedo scusa per aver frainteso sulla presenza di una nuova ‘Svalutation’ nel tuo ultimo album. Sono stato mal informato! O forse me la sono immaginata da solo perché pensavo inconsciamente che sarebbe stata una riproposizione pertinente? Ammiro la tua grinta e la tua fiducia nella potenziale realizzazione di un’utopia. Negli anni ho visto e letto spesso di esperimenti designati a rimescolare le carte e a costruire una nuova struttura sociale ma temo che il problema sia più a monte. Forse è troppo difficile restare disinteressati, onesti e illuminati una volta che si occupa una posizione di potere? Perfino i bidelli della mia scuola cambiavano atteggiamento una volta entrati in possesso delle chiavi degli armadi.
Prima di partire per New York anni fa anche io mi nutrivo di fantasie salgariane, e ti confesso che a volte mi piacerebbe poter ricatturare quello stato d’animo – per me costituiva quel genere di limiti che spingeva a trovare nuove soluzioni. Mi sembra dunque di capire che non ti vedrò a New York ma in compenso ti vedrò a San Remo. Ricordo ancora la tua apparizione anni fa in sostegno a Tony Renis. Ricordo soprattutto il silenzio e l’attenzione scesi su una stanza che fino a quel momento rumoreggiava con il televisore in sottofondo. Ci regalerai ancora qualche minuto di libera imprevedibilità? È un ottimo modo per iniziare l’anno nuovo, spero che sia la prima di una lunga lista di sorprese. Intanto ascolterò ‘Il Mutuo’. Direi che il rischio di strumentalizzare o fraintendere, con un titolo del genere non sussiste.
Grazie mille, a presto
M