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Mar 29 2013 Adriano Celentano risponde a Flores d’Arcais in merito all’articolo su Repubblica del 29 marzo 2013
Caro Flores, grazie innanzitutto per lo “stimato”. Lei scrive cose assai più importanti di quelle che ogni tanto mi permettono di scrivere, e io apprezzo e la leggo sempre con piacere. Per cui sono onorato che lei mi abbia risposto. Ma vede, il punto non è l’appello in sé che è senz’altro giusto. Ma è l’intempestività che io contesto. Il tempo in cui si chiede l’appello. Mi domando come fa a non capire lei e tutti quei nomi illustri che la condividono, che la TREGUA, anche se per battaglie nobili come la sua, non solo è necessaria per prendere fiato e riflettere, ma soprattutto per non destare SOSPETTI. Sospetti che non possono certo investire le sue duecentoquarantamila persone che hanno firmato l’appello. Non è di loro che dobbiamo preoccuparci. Ma di quei 10 milioni di persone che hanno votato Berlusconi. Se io, che mi reputo il PRINCIPE dei GRILLINI, avverto nel suo appello una puerile manovra elettorale, mi domando cosa mai potrà pensare la stragrande marea di persone che come un’onda gigantesca ha riversato il suo voto nelle tasche di: “meno male che Silvio c’è”?
La verità è che lei ha sbagliato obbiettivo. Se davvero vuole che questa legge sia applicata, lei dovrebbe concordarla col diretto interessato: Berlusconi. È della sua firma che abbiamo bisogno. Dovrebbe andare da lui e dire: “caro Berlusconi, non c’è dubbio che i partiti, chi più chi meno, hanno tutti uno scheletro nell’armadio. Ed è probabile che anche lei ne abbia qualcuno. Cosa ne pensa se di tutte le OSSA che ci sono in giro ne facessimo un grande FALO’ in modo da ripartire da zero, con gli armadi completamente vuoti e rispettare finalmente quelle leggi che d’ora in avanti anche lei dovrà attenersi scrupolosamente, pena la sospensione a vita da qualunque carica pubblica, salvo poi vedersela con la giustizia?”
E questo non vale solo per l’ineleggibilità di Berlusconi, poiché tutta la politica è INELEGGIBILE. Ma per tutte le cose che riguardano quell’onestà intellettuale di cui si è perso il filo e che la si può recuperare solamente azzerando il passato, che significa sì perdonare, ma anche mettere in guardia coloro la cui logica è sempre stata quella di barattare i principi cardine della convivenza civile con gli interessi personali e dire: “ATTENZIONE! D’ora in poi non si scherza più. Chi sbaglia paga”. Ma lei insiste e nelle ultime righe della sua lettera mi attribuisce un pensiero che non può essere il mio, quando dice:
“Lei invece ritiene che in nome di quell’Amore universale di cui parla il Papa tale principio non si debba applicare a chi ottenga 10 milioni di voti. Insomma, è la forza che fa il diritto. Prosit.
Cordialmente
Paolo Flores d?ArcaisLei è troppo intelligente per non aver capito cosa intendo dire e per questo continuerò a leggere i suoi articoli. Effettivamente quel “gli” era di troppo. Non dimentichi che io sono il Re degli ignoranti…
Anche a lei un cordiale saluto
Adriano Celentano -
Mar 29 2013 Caro Adriano, sbagli
di Paolo Flores d’Arcais, da La Repubblica, 29 marzo 2013
Stimato Adriano Celentano, nella lettera di ieri a “Repubblica”, lei giudica il mio appello per l’ineleggibilità di Berlusconi una STRONZATA (tutto in maiuscole). Citando solo me, lei vuole evidentemente adularmi, poiché ho avuto l?onore di condividere quell’appello con Vittorio Cimiotta, Andrea Camilleri, Dario Fo, Margherita Hack, Franca Rame e Barbara Spinelli. E con 243.848 cittadini che lo hanno firmato on line sul sito www.micromega. net. Lei aggiunge che quell’appello è una cazzata (questa volta in minuscole) non soltanto fuori luogo ma decisamente “fuori TEMPO musicale”. Infatti aggiunge: “Se Berlusconi, che tutti davano per finito, compreso me, non avesse preso quei 10 milioni di voti e fosse crollato, mi domando se a Flores d’Arcais gli sarebbe venuta lo stesso la fulminante idea da “meschina campagna elettorale?”.
A parte quel “gli” di troppo (nel suo linguaggio dovrei definirlo una “cazzata? grammaticale”. Preferisco considerarlo una svista da hybris polemica), è evidente che lei l’appello non lo ha letto, visto che alla terza riga si ricorda come il primo ricorso sull’ineleggibilità di Berlusconi sia stato presentato nel 1994 (quando l’alleanza berlusconiana ottenne quasi il doppio dei voti di oggi), e reiterato nel 1996 (quando fu sconfitta dall’Ulivo). Allora ero l’ultima ruota del carro, firmai infatti in compagnia di Antonio Giolitti, Alessandro Galante Garrone, Paolo Sylos Labini, Vito Laterza, Aldo Visalberghi, tutti notori frequentatori di quello che lei aulicamente definisce il “viale delle STRONZATE”.Ho sostenuto l’ineleggibilità di Berlusconi quando era in maggioranza e quando era in minoranza, quando era forte e quando sembrava debole, lungo tutti questi anni bui di regime e di inciucio. E mi sarei comportato nello stesso modo, ovviamente, anche se Berlusconi fosse stato rieletto per il rotto della cuffia e con un pugno di voti. Lei ritiene invece che “con un Berlusconi finito sarebbe stato giusto, poiché si invocava una legge che da quel momento in poi era per tutti e non solo per sbarazzarsi del vincitore. Ma adesso no d?Arcais. Adesso è solo una scorrettezza elettorale”. Io invece non credo che sia moralmente e politicamente accettabile che l’applicazione di una legge venga invocata a tassametro, secondo l’opportunità politica e i rapporti di forza (e trascuro il fatto che chiedere l’ineleggibilità solo se un politico è “finito” suona un po’ alla Maramaldo, cosa che certo non era nelle sue intenzioni).
La legge 361 del 1957 andava applicata nel 1994, e nel 1996 e ad ogni inizio di legislatura, e se è stata aggirata più volte dall’inciucio di Berlusconi e D’Alema, con interpretazioni che avrebbero stupito perfino Azzeccagarbugli, non è una buona ragione per calpestarla una volta di più. Sono stato perciò felice, come cittadino democratico, di constatare come il M5S abbia deciso di chiedere alla prossima “Giunta delle elezioni” del Senato che la legge sia finalmente applicata e Berlusconi dichiarato ineleggibile, e che la stessa cosa abbia dichiarato il senatore Luigi Zanda, successivamente eletto capogruppo del Pd. Forse è la volta buona perché la legge sia “eguale per tutti”. Lei invece ritiene che in nome di “quell’Amore universale di cui parla il Papa” tale principio non si debba applicare a chi ottenga 10 milioni di voti. Insomma, è la forza che fa il diritto. Prosit.